Tutto iniziò con la fantascienza

 

Nel 1972 venni invitato dal governo ungherese a coordinare la partecipazione al primo Eurocon di Trieste delle comunità dei paesi dell’Europa orientale attive nel campo della fantascienza.

Giunto a Budapest fui accolto da una giovane donna che doveva essere la mia interprete. Lo era, ma non esattamente. L’interprete ufficiale che mi era stata assegnata si era ammalata e così Ágnes, questo era il suo nome, l’aveva sostituita. Parlava perfettamente italiano, oltre che russo e francese. Di lì a poco venni a sapere che era un’artista, competente in tutti i campi che tale denominazione comporta.

Ben presto fui ammaliato dalla sua allegria, affabilità e sincera curiosità per la fantascienza e l’obiettivo che mi prefiggevo. Nei giorni successivi si susseguirono senza sosta incontri con rappresentanti ungheresi e di altri paesi dell’Europa orientale ed emergeva la necessità di decidere quali tra tutti coloro che mi erano stati presentati avrebbero potuto essere invitati come ospiti al primo Eurocon. Senza Ágnes sarei stato davvero perso, era la mia bussola. Contribuiva sempre con i migliori suggerimenti di fronte alle numerose proposte che provenivano da pittori, illustratori, produttori televisivi e cinematografici, così come quelle di eventuali discorsi che avrebbero potuto essere pronunciati su vari temi , nonché su ciò che fisicamente avrebbe potuto essere portato a Trieste: libri, riviste, quadri, ecc.

Ebbi anche la possibilità di vedere alcune delle opere di Ágnes: quadri, illustrazioni e meravigliose immagini su stoffa, vetro cattedrale, per citarne soltanto alcuni. A quel punto la fantascienza aveva cessato di essere il tema principale delle nostre conversazioni, mentre cresceva l’affinità tra di noi. Le nostre menti si erano incontrate, benché venissimo da due mondi lontani: la distinzione tra occidente e oriente era sfumata, i dogmi che li governavano non avevano più importanza. E fu così che prima di tornare a Venezia, la mia città, chiesi la sua mano. E lei accettò.

Ci sposammo nel novembre del 1972 a Pest. La burocrazia però si frappose e ci vollero diversi mesi prima che potesse ufficialmente lasciare l’Ungheria con il suo nuovo status. Venezia la accolse in febbraio. Era stata in Italia anni prima e le sue opere erano state lodate in occasione di alcune mostre, ma ora la sua vita era cambiata radicalmente e aveva bisogno di una prospettiva diversa. Si innamorò di Venezia. E come avrebbe potuto essere altrimenti? Si trovava circondata da una commistione di pietre e acqua che davano vita ad una delle città più incantevoli al mondo. I numerosi tesori che gli antichi edifici offrivano rappresentavano un ulteriore stimolo alla sua sensibilità.

Ora più che mai aveva bisogno di un luogo che le permettesse di esprimere di nuovo lo spirito artistico che impregnava il suo carattere. Il cavalletto, le cornici, le tele e uno spazioso tavolo da disegno, insieme a tutti gli altri strumenti necessari, vennero predisposti, divenendo il suo naturale prolungamento.

All’inizio ci furono alcuni ostacoli, ma una volta che le due burocrazie, quella ungherese e quella italiana, riuscirono a trovare un accordo e a superare le difficoltà, potè portare a Venezia parte delle opere che erano rimaste a Budapest e mostrarle a diverse persone, miei amici artisti.

Venne invitata a diverse mostre a Venezia e fuori, conquistando non solo riconoscimenti, ma anche numerosi premi.

Nel 1973, non molto dopo il suo arrivo, le venne offerto un lavoro come insegnante presso l’Accademia Ettore Tito a Venezia, diretta dal Professor Mariano Missaglia, un artista egli stesso. Lì insegnò disegno e pittura per un paio d’anni.

I suoi lavori furono anche apprezzati da Ferruccio Mestrovich, un esperto d’arte di fama internazionale, la cui collezione personale è stata offerta al museo di Ca’ Rezzonico di Venezia, dove è oggetto di una mostra permanente. Nel 1974, nel corso di una mostra, tenutasi a Lido di Venezia presso la Galleria d’Arte Maleti, a cui partecipò insieme ad altri artisti, uno dei suoi disegni che rappresentava una scena di cavalli nella Puszta attirò l’attenzione di un visitatore che era stato ammaliato dalla fluidità dei movimenti. Era Giulio Argan. Si informò presso il responsabile della mostra per poter incontrare l’artista, ma purtroppo Ágnes non era disponibile e non ci fu un seguito.

Ma c’era un tema che le stava ancora più a cuore e che desiderava approfondire, esprimendo i suoi sentimenti: i libri per bambini, tipologia che aveva già illustrato in Ungheria, specificatamente nella didattica.

La casa editrice italiana AMZ era alla ricerca di un artista in grado di elaborare un modo piacevole di insegnare l’arte del disegno proprio ai bambini, anche i più piccoli. In Ágnes trovarono la persona giusta per questo compito. Venne pubblicato un libro intitolato “Ogni bambino un artista”, poi ristampato più volte, successivamente con il titolo di “Il mio primo libro di disegno”. Il libro era accompagnato da una serie di album in cui il bambino poteva colorare i disegni a proprio piacimento. Gli stessi album vennero poi pubblicati in Francia dalla Casa Editrice Natham.

Ágnes lavorò anche nel campo della pubblicità, sempre senza risparmiarsi, con la massima attenzione per il dettaglio, e facendo affidamento anche al mio parere laddove venisse colta da incertezza.

Benché la fantascienza non fosse un tema da lei prescelto in termini artistici, produsse alcuni divertenti disegni di fantasy, ispirata dai numerosi libri e riviste di fantascienza che la circondavano in quella che era divenuta ora casa nostra a Venezia. Nel corso di una Convention di fantascienza a Ferrara conversò animatamente con Karel Thole (uno dei più noti artisti e illustratori europei di fantascienza) proprio su questo tema.

Anche alcuni ospiti che ci fecero visita a Venezia esprimettero apprezzamento per le sue opere. Tra di essi: John e Marjorie Brunner, Don e Elsie Wollheim, Robert Sheckley, Tom Disch, Ted Sturgeon, Bob Shaw, Patrice Duvic, A. E. e Lydia Van Vogt, Sandro Sandrelli, Takumi Shibano, tutti personaggi ben noti nel campo della fantascienza.

Ágnes progettava un’ulteriore opera per i bambini: una storia dei costumi attraverso i secoli. Un editore aveva espresso interesse e Ágnes aveva iniziato un’approfondita ricerca, producendo numerosi disegni sull’argomento, ciascuno di essi un piccolo capolavoro. Purtroppo il progetto non giunse mai a completamento, dal momento che l’editore aveva incontrato degli imprevisti e il programma era stato rivisto.

Poi nel 1977, il cinque gennaio, nacque Diana, accolta con grande gioia da entrambi. Era ora giunto il momento di cambiare alcune delle nostre abitudini. Ágnes ed io eravamo entusiasti del compito che ci attendeva: dare a Diana tutto il nostro amore, riducendo quello che era diventato superfluo se non addirittura privo di significato. È un qualcosa di cui ci si rende conto quando si ha un dovere che trascende tutto quello che accadeva prima. Ma dovere non è il termine giusto, sarebbe più adeguato parlare di beatitudine.

All’inizio Ágnes non abbandonò completamente la sua attività, come io non abbandonai la mia, ma Diana occupava il primo posto. Seguivamo con una certa trepidazione i suoi progressi giorno per giorno, mese per mese: le prime parole, le prime frasi. L’ungherese si fece sentire per primo, ma l’italiano lo seguì a ruota e talvolta emergevano anche parole in inglese. Erano momenti magici per entrambi. A gennaio del 1979 per rendere le cose più interessanti comprammo a Diana dei cubi, con una lettera dell’alfabeto per faccia. Metterli insieme uno accanto all’altro non era soltanto un gioco, anche se poteva sembrarlo.

Ma sto divagando. Ágnes sentiva l’esigenza di essere sempre più parte della vita di Diana e dovette fare uno sforzo per trovare il giusto equilibrio tra l’affetto per nostra figlia e l’ardente desiderio di seguire il suo amore innato per l’arte. Non smise di esprimerlo, ma divenne qualcosa di più privato. Le mostre vennero relegate al passato. Trovava più piacevole l’ambiente tranquillo di casa nostra, dove poteva lavorare e talvolta condividere i risultati con Diana e soddisfare la sua curiosità in merito a quello che faceva e in che modo. Poi naturalmente c’erano anche le lunghe passeggiate per Venezia con Diana e il sottoscritto, quando mi era possibile. Quasi sempre Ágnes portava con sé un album per schizzi in cui disegnava alle volte soltanto una bozza e altre volte l’intera immagine di ciò che aveva catturato la sua attenzione. Spesso questi schizzi rappresentavano il nucleo di opere più elaborate che venivano terminate, ulteriormente filtrate dalla sua abilità, sulle tele che attendevano sul cavalletto a casa.

L’Ungheria rimaneva sempre nel cuore di Ágnes. Ogni estate tornava a far visita al suo paese natìo, permettendo anche a Diana di conoscere l’altra metà della sua famiglia.

E così passarono gli anni. Nuovi amici divennero parte delle nostre vite e vecchie amicizie furono riallacciate. Diana nel frattempo percorreva la sua strada prima all’asilo e poi alla scuola elementare, dimostrando di aver appreso gli insegnamenti di Ágnes e i miei nella maniera più positiva.

Ma la vita può essere molto crudele. Alle volte prima, alle volte dopo. Il 28 ottobre 1984 Ágnes fu ricoverata. La prima diagnosi fu di calcoli alla cistifellea, a cui seguì un’operazione. Era cancro. Accompagnata da Diana e dal sottoscritto si recò in una clinica specializzata a Milano nella speranza che ci fosse qualcosa da fare. Riuscimmo a passare il Natale insieme a Milano a casa di amici. La speranza di una cura fu distrutta dalla risposta che ricevemmo dalla clinica. Tornammo a Venezia. Sua madre arrivò dall’Ungheria, ma dovette rientrare dopo pochi giorni a causa dello stato emotivo in cui versava. Il 30 dicembre suo fratello Ágoston venne a Venezia. Riuscimmo ad offrire ad Ágnes un barlume di normalità celebrando l’ottavo compleanno di Diana a casa nostra a Venezia. Ma subito dopo dovette tornare all’ospedale Fatebenefratelli di Venezia. Lì vide Diana per l’ultima volta il 7 gennaio. Ci lasciò il 12 gennaio 1985, circondata dall’affetto di suo fratello Ágoston, dal mio e da quello di amici, alcuni dei quali riuscirono ad arrivare a Venezia da Milano nonostante le aspre condizioni atomosferiche del momento. Venezia era coperta di neve, la laguna era ghiacciata e tutte le comunicazioni con la terraferma erano ostacolate.

Fu cremata il 16 gennaio alla presenza di Ágoston e mia. Ora il suo nome viene ricordato su un muro del crematorio di Venezia sull’isola di San Michele.

 

La sua era l’anima di un’amica, di una madre affettuosa e di un’artista.

 

Giampaolo

 

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